Liliana
Segre nell’intervista parla della sua vita durante la shoah. Lei racconta di come tutto sia iniziato. Lei aveva solo
12-13 anni quando partì con suo padre per scappare dai Tedeschi; si
incamminarono verso la Svizzera ma, al confine, vennero arrestati. Dopo essere
rimasti 40 giorni in galera, vennero portati al campo di concentramento;
durante il viaggio, furono messi in un furgone dove inizialmente tutti piansero.
Arrivati lì vennero separati maschi e femmine. Dopo vennero distribuite le tute
e gli zoccoli, vennero loro tatuati dei numeri sul braccio e furono tutti
rasati. Gli veniva dato solo un poco di cibo e loro litigavano per averlo.
Liliana descrive quel luogo come se fosse un film dell’orrore e descrive i Tedeschi
come «odiatori seriali», al contrario degli stessi che si ritengono «puri e
superiori». Lei si definisce come una lupa… egoista e affamata. Una frase che dice spesso è che i Tedeschi, pur
avendo preso il suo corpo, non hanno preso la sua mente. I Tedeschi li tenevano
prigionieri e ogni tanto li spogliavano, li visitavano e li umiliavano. Il
medico che li visitava non aveva fatto il giuramento di Ippocrate e, se non li
considerava «buoni», li mandava a «fare la doccia» e questo solo perché avevano
una religione diversa dalla loro. Un giorno però Liliana era in una fabbrica a
lavorare e fu ordinato a tutti gli schiavi di uscire. Dovevano camminare per
2-3 kilometri ed era qui che iniziava «il cammino della morte». Alla fine
Liliana riuscì a sfuggire alla morte, nonostante vide la neve rossa e piena di
cadaveri.
Noi stimiamo molto questa signora per la
forza che ha avuto durante il cammino poiché non mangiavano da tempo; loro
sbucciavano, infatti, le patate e mangiavano solo le bucce. Quello che ci ha
colpito di più è che lei ha resistito a tutta la violenza e a tutte le minacce
che ha subito e, nonostante ciò che le hanno detto e fatto, ha avuto il
coraggio di parlare di quel bruttissimo incubo purtroppo reale.
Federica
Virzì e Giulia D’Anna II M
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