lunedì 17 febbraio 2020

INTERVISTA AL PRESIDE



Da sinistra le docenti Angela Vassallo, Rosaria Rita Anastasi, Bartola Orlando. Gli alunni Melissa Maniscalco, Giulia Rizzotto, Clelia Faso, Teresa Sasso, Asia Terrana, Matteo Di Maggio,Giovanni Lo Giudice, Riccardo Lo Giudice. Al centro il Dirigente Scolastico Prof. Nunzio Speciale.



Nel pomeriggio di lunedì 27 gennaio, la redazione del nostro giornale è stata accolta in Presidenza per l’incontro, pianificato da tempo, fra il Dirigente e i ragazzi del progetto pomeridiano. Questi, vestendo per qualche ora i panni di consumati giornalisti con la mise d’ordinanza e con la clipboard alla mano, non hanno esitato ad esporre tutte le loro curiosità al Preside il quale, visibilmente a suo agio, si è offerto con grande generosità alle loro domande. In tale circostanza è stata realizzata la seguente intervista che proponiamo in versione pressoché integrale. 
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Gentilissimo Dirigente, insieme ai nostri compagni e alle nostre insegnanti, abbiamo messo a punto una serie di domande che ci piacerebbe porle per capire un po’ meglio il suo lavoro così delicato e di primaria importanza per il buon funzionamento della scuola.
La ringraziamo in anticipo per la disponibilità mostrata nel volerci accogliere e per il tempo che ci sta dedicando.

Partiamo dalle prime domande sulla sua vita professionale:


1)     Perché ha scelto di svolgere questa professione e non un’altra?
-        Bene, la mia è una formazione umanistica, da giovane ho frequentato il Liceo, poi mi sono iscritto alla facoltà di Lettere, indirizzo classico. Ho sempre nutrito grande interesse per la cultura latina e greca e ho iniziato il mio percorso lavorativo come insegnante liceale; nel tempo, tuttavia, ho cominciato a maturare anche interessi di tipo giuridico, mi sono appassionato agli aspetti organizzativi della scuola e, dopo aver vinto il concorso, ho deciso di intraprendere la carriera di Dirigente.

2)     Da quanti anni svolge questo mestiere?
-        Svolgo la funzione di Dirigente da sei anni. Ho ricevuto il mio primo incarico da Preside in Lombardia, in provincia di Brescia, poi ho ottenuto il trasferimento qui in Sicilia.

3)     La scuola è situata in una realtà locale per certi versi difficile. Come affronta quotidianamente le difficoltà che il territorio le pone davanti?
-        Già quando lavoravo in Lombardia e valutavo la possibilità di un trasferimento sapevo della “Cesareo”, sapevo che era un’ottima scuola nonostante si trovasse in una realtà periferica.

4)     Quando era piccolo, avrebbe mai pensato che da grande avrebbe fatto proprio questo lavoro?
-        Quando ero molto piccolo, in realtà, il mio sogno più grande era quello di guidare un treno, era quello il mio lavoro ideale. Mio padre, che conosceva bene la mia passione per i treni, mi portava alla stazione e lì tutti e due stavamo ad osservare partenze e arrivi. Rimanevo incantato nel vedere le locomotive sfrecciare… il primo regalo che ricevetti fu un trenino elettrico… mi viene un po’ da sorridere al pensiero che oggi invece guido una scuola.

5)     Il suo lavoro da Dirigente le dà più soddisfazioni o più preoccupazioni?
-        Si tratta di un lavoro complesso, che richiede molto impegno e comporta molte responsabilità, ma che è anche in grado di dare moltissime soddisfazioni.


6)     Cosa dobbiamo fare noi studenti per non deluderla?
-        Come avrete visto dalla lettura delle circolari, alla fine di ogni comunicazione rivolta ai docenti o ai discenti della scuola è presente la frase “Sempre con passione per la scuola!”. Ecco, mi piacerebbe che studiaste e vi impegnaste sempre con passione, qualsiasi percorso possiate intraprendere, qualsiasi attività decidiate di svolgere.

7)     In cosa può ancora migliorare la nostra scuola? Sono previsti dei fondi pubblici o privati a tal fine?
-        Come potrete bene immaginare, i fondi pubblici ai quali attingono le scuole risultano spesso insufficienti rispetto alle reali esigenze che si presentano quotidianamente all’interno di un istituto. Assume allora importanza rilevante il contributo delle famiglie.

8)     Cosa ne pensa dei progetti pomeridiani che sono stati attivati nella nostra scuola?
-        Sono molto soddisfatto dei progetti pomeridiani della nostra scuola. I progetti sono strettamente legati alla storia della “Cesareo” e alla sua crescita nel tempo. Alcuni fanno storicamente parte delle tradizioni dell’istituto ed erano già stati avviati negli anni precedenti al mio arrivo; altri, invece, sono stato io a introdurli con l’intento di soddisfare, oltreché le aspettative e i bisogni dell’utenza, i desideri e le competenze dei docenti.  Mi riferisco, non a caso, al giornale della scuola che, trasformato da cartaceo a digitale, è  stato inserito nella piattaforma di Alboscuole con un non indifferente  aumento di visibilità.

 A questo punto, vorremmo porle qualche domanda sulla sua vita privata. Siamo molto curiosi di conoscerla anche come ‘persona’, non solo come Dirigente, pertanto le chiediamo:

9)     Quale Istituto superiore ha frequentato dopo la fine della scuola media?
-        Ho frequentato il Liceo Classico “Scaduto” di Bagheria, una scuola molto valida che ha contribuito notevolmente alla mia formazione culturale.

10)  Quali erano le sue materie preferite?
-        Avendo scelto gli studi umanistici, mi piaceva molto studiare il latino, il greco e l’italiano. Mi interessavano molto anche la storia dell’arte e le lingue straniere. Non ho mai, invece, avuto un debole per la matematica. Mi piaceva poco la chimica e non amavo l’educazione fisica, forse anche per via dell’insegnante che avevamo.

11)  Praticava qualche sport da ragazzo?
-        No purtroppo, dedicavo tutto il mio tempo allo studio. È un mio rammarico, mi sarebbe piaciuto aver praticato una disciplina sportiva.

12)  Tra i suoi ricordi di studente, c’è qualche episodio accaduto nella sua scuola legato ad atti di bullismo?
-        No, fortunatamente no. Il mio era un Liceo molto serio e gli insegnanti erano molto severi ma estremamente attenti nei confronti dei ragazzi e delle relazioni interpersonali tra studenti, sempre vigili e pronti a salvaguardare ognuno di loro.

13)  Quanto tempo dedicava allo studio? Ogni tanto riusciva a concedersi qualche distrazione?
-         Mi impegnavo per molte ore al giorno: iniziavo subito dopo pranzo, alle 15.00, e studiavo per tutto il pomeriggio; riprendevo dopo cena e, in certi casi, ripassavo le lezioni anche al mattino, prima di andare a scuola. Durante la settimana non c’erano distrazioni, ma il sabato uscivo con i miei compagni per una passeggiata e tutti insieme andavamo a mangiare una pizza. Con alcuni di loro sono ancora in contatto. La foto che vedete alle mie spalle ci ritrae insieme durante una serata organizzata poco tempo fa, una “rimpatriata” dopo venticinque anni dalla fine della scuola. Il Preside ci chiede di avvicinarci e di guardare la foto.

14)  Quali sono i suoi passatempi preferiti?
-        La lettura è il mio passatempo preferito, anche se non sempre oggi trovo il tempo di leggere durante la giornata. Non rinuncio, però, al libro sul comodino per le letture serali; quelle non mancano mai. Inoltre mi piace tanto anche la musica.

15)  Ha mai partecipato da studente a un progetto giornalistico?
-        Sì, certo, ho diretto la redazione giornalistica del mio Liceo. Il nostro giornale si intitolava “The speakers’ corner”, in omaggio al famoso “angolo degli oratori” di Hyde Park, a Londra. Si proponeva di coinvolgere tutti coloro che desideravano scrivere e al suo interno vi erano numerose rubriche.

16)  Ha una squadra del cuore? Quale?
-        Tifo per l’Inter. In realtà questo interesse è nato del tutto casualmente: da piccolo desideravo avere un completino da calcio e mio padre, da tifoso del Milan qual era, ne cercò inutilmente uno della mia misura con i colori della sua squadra preferita. Finì col comprarmi un completino dell’Inter, l’unico che aveva trovato della mia taglia, ma io ero contento lo stesso e decisi di diventare interista.  

17)  C’è stato un insegnante che ha lasciato un segno importante nel suo percorso scolastico?
-        Ricordo ancora con molta stima la mia insegnante di latino e greco, una professoressa bravissima e molto severa. E’stata lei a suscitare in me l’amore per gli studi classici. Ha costituito per me un modello anche nella sua severità. I bravi insegnanti devono anche essere severi, orientare i ragazzi all’ordine, devono lasciare il segno e indicare una via da seguire.

18)  Il suo lavoro le consente di trascorrere del tempo con la sua famiglia?
-        Purtroppo dedico pochissimo tempo alla mia famiglia, anche quando torno a casa spesso continuo a ripensare al lavoro a scuola. Non è un bene, però, bisognerebbe vivere non soltanto di lavoro.

19)  Quali erano i suoi sogni da ragazzo? Alcuni tra questi si sono realizzati?
-        La mia ambizione era quella di diventare un professore. Già a scuola, quando tutti i compagni sognavano di essere avvocati o ingegneri, più per seguire le mode del tempo che per convinzione sincera, io pensavo al lavoro del professore di liceo. Al momento dell’iscrizione all’Università ero un po’ indeciso tra le lingue e le materie letterarie, poi scelsi le lettere classiche. E con passione ho lavorato per raggiungere la meta che mi ero prefissato.

Concludiamo la nostra intervista con un’ultima domanda:

20) Siamo all’inizio del nuovo anno; quale augurio vuole rivolgere ai ragazzi che frequentano la nostra scuola?
-        L’augurio che intendo rivolgere a tutti voi studenti è che possiate sempre abbracciare con ardore ed entusiasmo le attività che siete e sarete chiamati a svolgere, lo studio in primo luogo, ma anche i vostri hobby e i vostri interessi preferiti.

Bene, Preside, l’intervista è terminata, noi tutti la ringraziamo…
-        So che queste erano le domande che avevate previsto di rivolgermi, ma abbiamo ancora del tempo e, se volete, possiamo continuare la nostra chiacchierata. Avete altro da chiedermi? C’è qualcos’altro che vi piacerebbe sapere?

Allora, noi ragazzi, sebbene colti alla sprovvista dalla richiesta del Preside, non perdiamo l’occasione di fare liberamente ulteriori domande al di fuori della scaletta concordata con i nostri docenti.


Sì grazie, ci piacerebbe sapere chi era a scuola il suo poeta preferito.
-        Amavo molto Giovanni Pascoli, mi è sempre piaciuto il suo mondo, che in fondo è molto simile al mio, un mondo fatto di piccole cose… Pascoli è il poeta delle piccole cose ma la forza dei simboli presenti nella sua poesia è straordinaria.

Qual è il libro che ama di più?
-        È difficile dirlo, i libri interessanti sono tanti, ma forse il mio libro preferito rimane “Cuore”, di E. De Amicis. I personaggi, gli alunni e gli insegnanti che incontriamo tra le sue pagine ci parlano ancora oggi della scuola più bella e più vera.

Ci ha detto che da ragazzo non ha praticato nessuno sport. Oggi quale disciplina sportiva le piacerebbe praticare?
-        Mi piacerebbe praticare il nuoto, forse perché amo molto il mare, il sole e l’estate.

C’è qualche scelta compiuta nella sua vita che non rifarebbe?
-        No, non credo. Forse, però, mi rimprovero il fatto di aver talvolta sopravvalutato alcune persone.

 È possibile utilizzare il PalaOreto per le attività sportive della scuola?
-        No, al momento non è possibile perché non abbiamo ancora ricevuto tutte le autorizzazioni necessarie. Si tratta di uno spazio che non ci appartiene per raggiungere il quale bisogna attraversare una strada pubblica. Prima di poterne fruire, è necessario che tutto sia in regola.

Nella sua carriera da studente c’è stato qualche insegnante che, a suo parere, non si è comportato in modo corretto?
-        Ricordo una professoressa di italiano le cui valutazioni non erano oggettive. Rimasi deluso dal suo comportamento perché non valorizzava adeguatamente l’impegno dei ragazzi che avevano studiato in modo approfondito gli argomenti nel corso di tutto l’anno scolastico. Equiparava i risultati degli alunni più meritevoli a quelli di chi invece, solo in vista dell’interrogazione, improvvisava una “preparazione last minute”.

C’è una persona che nella sua vita è stata per lei un modello, un punto di riferimento, e le ha trasmesso la passione per l’insegnamento?
-        Ricordo con molto affetto una mia cara zia, faceva la maestra, la classica maestra delle scuole elementari, anche lei molto severa…

            Chi è il bambino ritratto nella foto posta sulla sua scrivania?
-        Sono io, da piccolo. E’ una foto a cui sono molto legato, poiché era lì presente al mio fianco mio padre, ormai scomparso. Prende in mano un oggetto ed aggiunge: sono molto legato anche a questa statuetta che ritrae San Giovanni Bosco, per la sua concezione della scuola e per il suo ruolo di maestro della gioventù, ma probabilmente anche perché mi ricorda una mia esperienza di insegnamento presso i Salesiani. 


           Quale obiettivo si prefigge di raggiungere con il suo lavoro?
-        Dare un contributo a migliorare la società! Sorridendo nel rispondere a quest’ultima domanda.



     A questo punto il Preside ci sorprende rovesciando i ruoli e diventando da intervistato intervistatore e con una sorta di flipped interview ci espone le sue curiosità relative alla nostra vita scolastica. Quali motivazioni vi hanno spinto a scegliere questo fra i tanti progetti presenti nella nostra offerta formativa? Questo progetto sta soddisfacendo tutte le vostre aspettative? Ed ancora più in generale: Quale percezione avete della Cesareo? Consigliereste ai vostri conoscenti la nostra scuola? Perché?
Il Preside, visibilmente  divertito dalla nostre  battute ed impressionato in modo positivo dalle potenzialità e  dalle capacità giornalistiche di alcuni di noi, nonché dalle nostre risposte spigliate e disinvolte, si è intrattenuto con noi  in una conversazione, a tratti informale, e soprattutto si è prestato con grande disponibilità alle foto di rito che lo immortalano  in mezzo a noi, senza tralasciare di ringraziare noi e i nostri docenti per avere contribuito, in qualche modo, alla realizzazione di questo  momento.
Un Preside, dunque, che più volte ha sottolineato il senso dell’aggettivo “severo”, ma che ci ha accolto in Presidenza, mettendoci a nostro agio, soffermandosi e intrattenendosi con noi, raccontandoci di sé anche attraverso i numerosi oggetti della sua scrivania e le fotografie a lui care e soprattutto mostrandoci il suo spazio pieno di arredi che parlano della sua sicilianità e che tradiscono un forte senso di appartenenza  alla sua terra;  un legame  solido che probabilmente lo ha indotto a lasciare la Lombardia  per tornare in Sicilia.

Grazie mille e buon lavoro!



  La redazione



Filastrocca per il Giorno della Memoria



Filastrocca per il Giorno della Memoria
per ricordare una brutta Storia
scritta con inchiostro infausto:
la pagina nera dell'Olocausto.
Un uomo folle prese il dominio
e calò la scure dello sterminio.
Uomini, donne, vecchi e bambini
bruciavano in fretta come cerini.
Sogno che bruci ogni razzismo
dentro il fuoco dell'altruismo.
Sogno la nascita di nuovi ideali degli uomini
che sono tutti uguali.
                                                                                                         Claudia Salice 2^N

Il bambino con il pigiama a righe




Questo racconto drammatico pensato e creato nel 2008 dal registra Mark Herman racconta di        un’amicizia che può unire quello che le barriere dividono.  Durante la Seconda Guerra mondiale, Bruno figlio di un generale nazista, sua madre Elsa e sua sorella Gretel sono obbligati, a seguito di una promozione del padre, a lasciare la città e tutti i propri amici per trasferirsi in una casa di campagna. Poco dopo il trasferimento il piccolo Bruno scopre che vicino alla nuova casa sorge un campo di concentramento. Spinto dalla curiosità e dalla passione per l’avventura Bruno decide di esplorare i dintorni della tenuta e riesce così a scoprire un passaggio segreto che lo conduce ai confini del campo di concentramento. Proprio in quel momento conosce Shmuel, un bimbo ebreo suo coetaneo. Tra i due nasce un’amicizia che niente potrà dividere…dopo vari giorni che i due bimbi si incontrano separati dal filo spinato, Bruno decide di entrare dentro il campo per aiutare il suo amico a cercare il padre scomparso ormai da tempo. Non appena Bruno riesce ad entrare nel campo i due piccoli vengono portati nelle famose camere a gas e di loro rimane ormai soltanto un ricordo. Tutto il male che il papà ha fatto ai poveri e agli innocenti Ebrei gli si è rivolto tutto contro…così che la mamma e la sorella di Bruno si allontanano dal padre, colme di rabbia e di pentimento, dopo aver capito il male creato alle famiglie uccise per le loro convinzioni e, quindi, per una forma molto forte di razzismo. Io personalmente penso che tutto il male creato, tutto il dolore che si è fatto non si debba creare mai più. Perché secondo me se si è capaci di maltrattare, uccidere bambini, donne e neonati, non si è uomini, ma animali senza pietà .
Simona Tomasicchio III G.


L'angolo delle recensioni




E' questo il nome di un nuovo spazio che, a partire da adesso, sarà interamente dedicato
alle riflessioni critiche che i ragazzi e i loro docenti vorranno esprimere in seguito alla visione di un film, di uno spettacolo teatrale italiano o straniero, di una canzone e, soprattutto, in seguito alla lettura di un libro e di una poesia.
Uno spazio, dunque, che ci consentirà di tirare fuori la nostra sensibilità e di crescere attraverso una riflessione matura ed un confronto consapevole anche su tematiche di spessore culturale. Non è un caso che la prima recensione presentata sia relativa ad un film, “Il bambino con il pigiama a righe” che, relativo al dramma vissuto dagli Ebrei e raccontato attraverso gli occhi di un bambino, continua a commuovere intere generazioni anche a distanza di tempo.

La redazione



"Il mio corpo è stato prigioniero, ma la mente no





Nel suo discorso presso il Teatro Degli Arcimboldi di Milano, pronunciato giorno 20 gennaio in occasione del Giorno Della Memoria, la senatrice a vita Liliana Segre si rivolge a tutti noi ragazzi.
Ci parla come una nonna parlerebbe ai suoi nipoti e ci racconta della sua vita e degli anni terribili trascorsi durante la seconda guerra mondiale. Quando era bambina, a causa delle leggi razziali del 1938, poiché apparteneva a una famiglia ebrea, improvvisamente non ebbe più la possibilità di frequentare la scuola. Successivamente, le cose si complicarono ulteriormente. Lei viveva a Milano, ma visto che i soldati avevano iniziato a deportare gli ebrei nei campi di concentramento, si dovette nascondere in casa di amici, mentre il padre cercava una sistemazione per i nonni. Successivamente il padre la riprese con sé e insieme andarono in Svizzera, incamminandosi attraverso le Alpi. Vennero però scoperti e rimandati in Italia dove furono spostati da un carcere all’altro. Lei aveva tra i dodici e i tredici anni, ma già aveva assunto un comportamento materno nei confronti del padre che, disperato, mostrava in quell’occasione alla figlia tutta la sua fragilità. Infine, furono portati in treno fino ad Auschwitz. Arrivati al campo di concentramento furono divisi, gli uomini da una parte e le donne dall’altra. Fu allora che Liliana Segre vide suo padre per l'ultima volta.
Liliana non si riconosceva più perché lì alle donne venivano rasati i capelli. Piangeva, soffriva, ma col tempo cominciò a diventare fredda, non pianse più, ciò che era passato era passato, non guardava più indietro pur di sopravvivere.
Lavorava molto e, per la sua giovane età, caricava sulle spalle pesi enormi, che trasportava dal campo all’officina dove lavorava. Periodicamente era costretta a spogliarsi con le altre in una stanza dove un medico crudele vedeva se i loro corpi erano in buone condizioni, in caso contrario venivano uccise. Di sera mangiavano solo un pezzo di pane con un po' di marmellata. Dopo un anno e mezzo, all’età di quattordici anni, con l’arrivo dei Russi si salvò. Racconta che, dopo tanto tempo, poté finalmente rivedere le foglie verdi e le venne voglia di iniziare a vivere di nuovo. 
Questa storia ci ha colpito molto. Non ci aspettavamo che le persone potessero essere così indifferenti verso la sofferenza. Lo troviamo ingiusto perché tutti siamo uguali. Del suo discorso ci ha impressionato molto la sua voglia di andare avanti in ogni attimo della sua vita, nonostante tutte le avversità affrontate, e questo ci ha fatto capire che non dobbiamo mai perdere il nostro desiderio di vivere. Ci siamo rattristate quando abbiamo saputo che Liliana non aveva più rivisto suo padre una volta arrivati ad Auschwitz. Dalle sue parole abbiamo capito che non dovrebbero mai accadere episodi di razzismo e che tutti dobbiamo avere gli stessi diritti e doveri.

Soprattutto rimarranno impresse nella nostra memoria due frasi pronunciate da Liliana, piene di speranza per noi giovani:
"Noi donne siamo fortissime!"
"Il mio corpo è stato prigioniero, ma la mente no!".

Karola Santoro e Alice Sutera, classe IN

(Per la rubrica "la scuola siamo noi")

La voce di Liliana: una risposta vitale contro gli “odiatori seriali”





Liliana Segre nell’intervista parla della sua vita durante la shoah. Lei racconta di come tutto sia iniziato. Lei aveva solo 12-13 anni quando partì con suo padre per scappare dai Tedeschi; si incamminarono verso la Svizzera ma, al confine, vennero arrestati. Dopo essere rimasti 40 giorni in galera, vennero portati al campo di concentramento; durante il viaggio, furono messi in un furgone dove inizialmente tutti piansero. Arrivati lì vennero separati maschi e femmine. Dopo vennero distribuite le tute e gli zoccoli, vennero loro tatuati dei numeri sul braccio e furono tutti rasati. Gli veniva dato solo un poco di cibo e loro litigavano per averlo. Liliana descrive quel luogo come se fosse un film dell’orrore e descrive i Tedeschi come «odiatori seriali», al contrario degli stessi che si ritengono «puri e superiori». Lei si definisce come una lupa… egoista e affamata.  Una frase che dice spesso è che i Tedeschi, pur avendo preso il suo corpo, non hanno preso la sua mente. I Tedeschi li tenevano prigionieri e ogni tanto li spogliavano, li visitavano e li umiliavano. Il medico che li visitava non aveva fatto il giuramento di Ippocrate e, se non li considerava «buoni», li mandava a «fare la doccia» e questo solo perché avevano una religione diversa dalla loro. Un giorno però Liliana era in una fabbrica a lavorare e fu ordinato a tutti gli schiavi di uscire. Dovevano camminare per 2-3 kilometri ed era qui che iniziava «il cammino della morte». Alla fine Liliana riuscì a sfuggire alla morte, nonostante vide la neve rossa e piena di cadaveri.

    Noi stimiamo molto questa signora per la forza che ha avuto durante il cammino poiché non mangiavano da tempo; loro sbucciavano, infatti, le patate e mangiavano solo le bucce. Quello che ci ha colpito di più è che lei ha resistito a tutta la violenza e a tutte le minacce che ha subito e, nonostante ciò che le hanno detto e fatto, ha avuto il coraggio di parlare di quel bruttissimo incubo purtroppo reale.

Federica Virzì e Giulia D’Anna II M


(Per la rubrica "La scuola siamo noi")

Liliana Segre e il ricordo dell'orrore di Auschtwiz.




                                       Mai perdere un minuto di questa emozione che è la vita( Liliana Segre 20 gennaio)

                                       Siate farfalle che volano sopra i fili spinati(Liliana Segre 29 gennaio)

Il giorno della Memoria, e i giorni immediatamente successivi ad esso, sono stati  dedicati
dalla nostra redazione e da alcune classi della scuola alla figura di Liliana Segre attraverso
la visione di due  video relativi rispettivamente  all'intervista rilasciata a Milano al  Teatro
degli Arcimboldi e all'intervento a Bruxelles presso la sede del Parlamento europeo.
Seguono, pertanto, dei lavori che, partendo dalla figura della senatrice a vita e dal ruolo di
sensibilizzazione che la stessa ha assunto in questi anni sul tema della shoah, ci offrono lo
spunto per una riflessione relativa ad una pagina dolorosa della storia del Novecento.
Leggiamo   insieme  la  ricerca   relativa  alla  biografia  di  Liliana  Segre  e  le  riflessioni
alla sua intervista realizzate dalle ragazze della II M e della I N.

 Chi è Liliana Segre



Liliana Segre nacque a Milano il 10 settembre 1930 da una famiglia ebrea.
Era una ragazza come tante, ma a causa delle leggi razziali che si diffusero in quel periodo fu costretta a lasciare la scuola.
Per un periodo della sua vita visse a casa di amici con falsi documenti, poiché suo padre si occupava dei suoi genitori.
Nel 1943 lei, suo padre e i suoi nonni fuggirono da Milano, ma al confine con la Svizzera vennero respinti, poiché lì non accettavano Ebrei.
Lei era una ragazza di soli 13 anni quando venne arrestata e tutto ciò solo perché era ebrea.
Successivamente venne portata ad Aushwitz dove i suoi nonni morirono e venne separata da suo padre Alberto, che non vide mai più.
Per circa un anno fu sottoposta ai lavori forzati all’interno di una fabbrica dove producevano bossoli per mitragliatrici, finché dovette affrontare la cosiddetta “marcia della morte” verso la Germania che durò circa due mesi.
Liliana raccontò che nessuno poteva appoggiarsi all’altro e chi era stanco sarebbe stato ucciso.
Lei fu una dei 25 sopravvissuti.
Nel 45’ arrivarono gli Americani e i Russi che sconfissero i Tedeschi.
Quando fu salvata lei non ebbe il coraggio di testimoniare, ma quando diventò nonna capì che tutti dovevano essere a conoscenza di ciò che era successo.
Nel 2018 fu scelta dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, come senatrice a vita e oggi continua a testimoniare per non far dimenticare ciò che è successo e far sì che non accada più.
Proprio in questo anno è stata più presente nel divulgare la sua testimonianza per cercare di placare il clima di razzismo che negli ultimi tempi si sta diffondendo in Italia.
 Nel discorso rivolto agli studenti presso il Teatro degli Arcimboldi di Milano ha cercato di incitare noi giovani a non sottovalutare la potenza   dell’odio e a fare delle sue parole un faro e una guida.
Poiché non avendo mai vissuto quell’orrore, noi giovani potremmo non credere che possa riaccadere.
Invece è corretto ricordarsi sempre che l’odio può diffondersi tra tante persone provocando situazioni crudeli. Quindi non bisogna mai dimenticare. 

Rebecca Benvegna II M


Liliana Segre: una grande donna che ha combattuto per la vita


Liliana Segre è una superstite dell’Olocausto e oggi dà attiva testimonianza della Shoah italiana. E’ nata il 10 settembre 1930 a Milano. Il 19 gennaio 2018 è stata eletta senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Liliana nacque da una famiglia di ebrei, ma la madre morì quando lei non aveva neanche un anno, quindi lei rimase con il padre di nome Alberto, a cui era molto affezionata, e con i suoi nonni paterni. Nell’intervista al Teatro Degli Arcimboldi di giorno 20 gennaio parla della sua vita da piccola e racconta che nel 1938 fu espulsa da scuola. Successivamente, il 10 dicembre 1943, mentre tantissimi ebrei venivano portati nei campi di concentramento, lei, suo padre e due suoi cugini provarono a raggiungere Lugano, in Svizzera. Essi però furono respinti dalle autorità del paese. Il giorno dopo Liliana venne arrestata a Selvetta, in provincia di Varese, all’età di tredici anni. Dopo sei giorni in carcere a Varese, fu trasferita prima a Como e poi a San Vittore, a Milano, dove fu detenuta per quaranta giorni. Il 30 gennaio venne il giorno in cui furono letti i nomi di coloro che dovevano partire per il campo di concentramento . Una volta usciti da san Vittore, li mandarono alla stazione centrale dove furono caricati su treni merci, riempiti fino a scoppiare, e vi rimasero per sette giorni, diretti ad Auschwitz. All’arrivo al campo si procedette con la registrazione dei prigionieri, e  gli uomini furono divisi dalle donne. Quella fu l’ultima volta in cui Liliana vide suo padre, che poi morì nel successivo 27 Aprile. Il 18 maggio 1944 anche i suoi nonni paterni furono arrestati, deportati ad Auschwitz e uccisi al loro arrivo il 30 giugno 1944. Dopo la separazione tra maschi e femmine avveniva la selezione, ovvero gli ufficiali tedeschi sceglievano chi avrebbe dovuto vivere e chi no, senza  alcun criterio. Liliana ricevette il numero di matricola 75190 e fu messa ai lavori forzati presso la fabbrica di munizioni Union. Alla fine del gennaio del 1945, dopo l’evacuazione del campo, lei affrontò la marcia della morte verso la Germania. Venne liberata il primo maggio del 1945 dall’armata rossa. Liliana è una dei 25 bambini sopravvissuti.
Secondo noi, Liliana è una grande donna perché ha combattuto per la vita affrontando il dolore e, nonostante le minacce, ha avuto il coraggio di testimoniare per invitare tutti a ricordare il passato e fare in modo che non capiti più. Infine, la ammiriamo perché, nonostante quello che ha passato, afferma che la vita è bella e che si deve combattere per essa.
Simona e Carola Corrao, Iole Di Gregorio e Miriam Lo Giudice, II M

(Per la rubrica "La scuola siamo noi")