Nel suo discorso presso
il Teatro Degli Arcimboldi di Milano, pronunciato giorno 20 gennaio in
occasione del Giorno Della Memoria, la senatrice a vita Liliana Segre si
rivolge a tutti noi ragazzi.
Ci parla come una nonna
parlerebbe ai suoi nipoti e ci racconta della sua vita e degli anni terribili
trascorsi durante la seconda guerra mondiale. Quando era bambina, a causa delle
leggi razziali del 1938, poiché apparteneva a una famiglia ebrea, improvvisamente
non ebbe più la possibilità di frequentare la scuola. Successivamente, le cose
si complicarono ulteriormente. Lei viveva a Milano, ma visto che i soldati
avevano iniziato a deportare gli ebrei nei campi di concentramento, si dovette
nascondere in casa di amici, mentre il padre cercava una sistemazione per i nonni. Successivamente il padre la riprese con sé e insieme
andarono in Svizzera, incamminandosi attraverso le Alpi. Vennero
però scoperti e rimandati in Italia dove furono spostati da un carcere
all’altro. Lei aveva tra i dodici e i tredici anni, ma già aveva assunto un
comportamento materno nei confronti del padre che, disperato, mostrava in
quell’occasione alla figlia tutta la sua fragilità. Infine, furono portati in
treno fino ad Auschwitz.
Arrivati al campo di concentramento furono divisi, gli uomini da una parte e le
donne dall’altra. Fu allora che Liliana Segre vide suo padre per l'ultima
volta.
Liliana non si riconosceva più perché lì alle donne venivano rasati i
capelli. Piangeva, soffriva, ma col tempo cominciò a diventare fredda, non
pianse più, ciò che era passato era passato, non guardava più indietro pur di
sopravvivere.
Lavorava molto e, per la
sua giovane età, caricava sulle spalle pesi enormi, che trasportava dal campo
all’officina dove lavorava. Periodicamente era costretta a spogliarsi con le
altre in una stanza dove un medico crudele vedeva se i loro corpi erano in buone
condizioni, in caso contrario venivano uccise. Di sera mangiavano solo un pezzo
di pane con un po' di marmellata. Dopo un anno e mezzo, all’età di quattordici
anni, con l’arrivo dei Russi si salvò. Racconta che, dopo tanto tempo, poté finalmente
rivedere le foglie verdi e le venne voglia di iniziare a vivere di nuovo.
Questa storia ci ha colpito molto. Non ci aspettavamo che le persone
potessero essere così indifferenti verso la sofferenza. Lo troviamo ingiusto
perché tutti siamo uguali. Del suo discorso ci ha impressionato
molto la sua voglia di andare avanti in ogni attimo della sua vita, nonostante
tutte le avversità affrontate, e questo ci ha fatto capire che non dobbiamo mai
perdere il nostro desiderio di vivere. Ci siamo rattristate quando abbiamo
saputo che Liliana non aveva più rivisto suo padre una volta arrivati ad
Auschwitz. Dalle sue parole abbiamo capito che non dovrebbero mai accadere
episodi di razzismo e che tutti dobbiamo avere gli stessi diritti e doveri.
Soprattutto rimarranno impresse nella nostra memoria due frasi
pronunciate da Liliana, piene di speranza per noi giovani:
"Noi donne siamo fortissime!"
"Il mio corpo è stato prigioniero, ma la mente no!".
Karola
Santoro e Alice Sutera, classe IN
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