Il blog della Scuola Secondaria di I grado "G.A.Cesareo" di Palermo nasce con l'intento di raccogliere e documentare idee, materiali e progetti che si svolgono nelle classi dell'Istituto o a cui gli studenti partecipano all'esterno. Tutti i prodotti raccolti sono opera originale degli alunni di tutte le classi della nostra scuola e dei loro docenti.
lunedì 25 maggio 2020
Falcone e Borsellino
• Improvvisamente, l’inferno. In un caldo sabato di maggio, alle 17:56, un’esplosione squarcia l’autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi a Palermo, nei pressi dell’uscita per Capaci: 5 quintali di tritolo distruggono cento metri di asfalto e fanno letteralmente volare le auto blindate. Muore Giovanni Falcone, magistrato simbolo della lotta antimafia. È il 23 maggio 1992.
• 19 luglio, 57 giorni dopo. Il magistrato Paolo Borsellino, impegnato con Falcone nella lotta alle cosche, va a trovare la madre in via Mariano D'Amelio, a Palermo. Alle 16:58 un'altra tremenda esplosione: questa volta in piena città. La scena che si presenta ai soccorritori è devastante. Seguono giorni convulsi. La famiglia Borsellino, in polemica con le autorità, non accetta i funerali di Stato. Non vuole la rituale parata dei politici. E alle esequie degli agenti di scorta una dura contestazione accoglie i vertici istituzionali. Il neo-presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, è trascinato a stento fuori dalla Cattedrale di Palermo, con il capo della polizia Vincenzo Parisi che gli fa da scudo.
• Negli anni nuovi colpi di scena hanno aperto squarci di luce su queste vicende su cui però non c'è ancora completa chiarezza. Ma chi erano i due magistrati-simbolo che hanno sacrificato la vita al servizio dello Stato? E perché sono stati uccisi in modo così efferato?
• Nel quartiere arabo. Le vite di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono intrecciate fin dall'inizio.
Nacquero entrambi a Palermo: Giovanni il 20 maggio 1939, Paolo 8 mesi dopo, il 19 gennaio. Ed entrambi crebbero nella Kalsa, l'antico quartiere di origine araba di Palermo, zona di professori, commercianti ed esponenti della media borghesia. Abitavano a poche decine di metri l'uno dall'altro e furono amici fin da bambini. Insieme giocavano in Piazza della Magione e insieme hanno combattuto contro la mafia fino a sacrificare le loro vite per il bene dello Stato.
Ricerca di Simona Corrao, IIM
(Per la rubrica "Una finestra sul mondo")
La strage di Capaci
La strage di Capaci fu un attentato di stampo
terroristico - mafioso compiuto da Cosa Nostra
il 23 maggio 1992 nei pressi di Capaci (sul
territorio di Isola delle Femmine), per uccidere
il magistrato antimafia Giovanni Falcone. Gli
attentatori fecero esplodere un tratto
dell'autostrada A29, alle ore 17:57, mentre vi
transitava sopra il corteo della scorta con a
bordo il giudice, la moglie e gli agenti di
Polizia, sistemati in tre Fiat Croma blindate.
Oltre al giudice, morirono altre quattro
persone: la moglie Francesca Morvillo, anche
lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito
Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Vi
furono 23 feriti, fra i quali gli agenti Paolo
Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e
l'autista giudiziario Giuseppe Costanza.
Ricerca di Carola Corrao, classe IIM
#PalermochiamaItalia
Il 23 maggio viene celebrato l’anniversario della strage di
Capaci, per ricordare uomini che hanno sacrificato
la propria vita per combattere un sistema corrotto. Omertà e
silenzio sono sempre state delle fonti di nutrimento della mafia,
meglio nota come “Cosa nostra”. Questo per anni ha portato la
Sicilia ad essere conosciuta in tutto il mondo solo per questo
aspetto nefasto, finché il sacrificio di uomini come Falcone e
Borsellino ha diffuso tra la gente il bisogno di sentirsi liberi
dal crimine. Ciò, come ha detto in questi giorni in un messaggio
il Presidente Sergio Mattarella, ha rovinato il progetto dei
mafiosi che credevano di spaventare e fermare la gente e, invece,
hanno creato una rabbia tale che ha spinto il popolo al
cambiamento. Borsellino diceva: “È normale che esista la paura,
in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio.
Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un
ostacolo che impedisce di andare avanti. Il vigliacco muore più
volte al giorno, il coraggioso una volta sola”. Questi sono principi
che dovrebbero essere sempre applicati durante la vita perché
essere corrotti è facile, ma opporsi significa fare la differenza.
Rebecca Benvegna, classe IIM
(Per la rubrica "Una finestra sul mondo")
Giovanni Falcone 23/05/1992
Giovanni
Falcone è stato un magistrato italiano che ha dedicato la sua vita alla lotta
contro la mafia senza mai retrocedere di fronte ai gravi rischi a cui si
esponeva con la sua innovativa attività investigativa, mosso da uno
straordinario spirito di servizio verso lo Stato e le sue istituzioni. È stato
tra i primi a identificare Cosa Nostra in un’organizzazione parallela allo
Stato, unitaria e verticistica in un’epoca in cui si negava generalmente
l’esistenza della mafia e se ne confondevano i crimini con scontri fra bande di
delinquenti comuni. La sua tesi è stata in seguito confermata dalle
dichiarazioni rilasciate nel maxiprocesso dal primo importante pentito di
mafia, Tommaso Buscetta e, negli anni seguenti, da altri rilevanti
collaboratori di giustizia.
Grazie al
suo innovativo metodo di indagine, ha posto fine all’interminabile sequela di
assoluzioni per insufficienza di prove che caratterizzavano i processi di mafia
in Sicilia negli anni ’70 e ’80. Il metodo si avvale di indagini finanziarie
presso banche e istituti di credito in Italia e all’estero e permette di
individuare il movimento di capitali sospetti. Esso è tuttora adottato a
livello internazionale per combattere la criminalità organizzata.
Rigore
investigativo, indagini finanziarie ed estrema capacità di coesione all’interno
del gruppo che è passato alla storia come il “pool antimafia”: queste le
caratteristiche che hanno permesso la realizzazione del primo maxiprocesso alla
mafia, il più grande risultato mai conseguito contro Cosa nostra. L’eccezionale
lavoro di un manipolo di magistrati guidati da Falcone approdò al dibattimento
pubblico che vide alla sbarra 475 mafiosi, tra boss e gregari. Esemplare la
sentenza, che consentì alla magistratura di condannare all’ergastolo l’intera
direzione strategica di Cosa nostra. Accuse poi confermate fino in Cassazione.
Il 23 maggio
1992, Giovanni e la moglie Francesca, di ritorno da Roma, atterrano a Palermo
con un jet del Sisde, un aereo dei servizi segreti partito dall’aeroporto
romano di Ciampino alle ore 16,40. Tre
auto, una Croma marrone, una bianca e
una azzurra li aspettano. È la scorta di Giovanni, la squadra affiatatissima
che ha il compito di sorvegliarlo dopo il fallito attentato del 1989
dell’Addaura. Ma poco dopo aver imboccato l’autostrada che congiunge
l’aeroporto alla città, all’altezza dello svincolo di Capaci, una terrificante
esplosione (500 kg di tritolo) disintegra il corteo di auto e uccide Giovanni
Falcone, la moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta, Rocco
Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.
La fine di
Giovanni Falcone potrebbe essere letta come una sconfitta dei giusti e dello
Stato, come la fine di una speranza, ma in realtà la sua morte ha rappresentato
l’inizio di una vera rinascita della società civile, che ha spinto le
istituzioni statali a sferrare nei confronti della mafia un attacco tale da
ridurre quasi al tappeto Cosa nostra.
Il 23
maggio è ormai diventata una data simbolo nella lotta contro tutte le mafie.
Nel 2002, in occasione del decennale della strage di Capaci, il Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in collaborazione con la
Fondazione Giovanni e Francesca Falcone, coinvolge le scuole di tutta Italia
per realizzare iniziative di educazione alla legalità che hanno il loro momento
conclusivo proprio nell’anniversario del 23 maggio, per ricordare il sacrificio
di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che rimangono nella memoria di tutti.
Crescono
ogni anno gli studenti e i docenti che rispondono all’appello per la legalità,
grazie anche alla collaborazione delle forze dell’ordine, di enti e di
associazioni che condividono questo impegno. Anche la nostra scuola quest’anno
ha deciso di aderire al flash mob, sensibilizzando tutti gli alunni
all’iniziativa. Il progetto, già avviato dell’anno scolastico 2018/2019, viene
ogni anno arricchito dai contributi degli studenti nelle tematiche relative
alla responsabilità sociale delle imprese. Durante i mesi di aprile e maggio
del corrente anno, mediante le modalità della didattica a distanza, noi alunni abbiamo
lavorato da casa grazie all’attivazione delle classi virtuali. Il flash mob al
quale abbiamo aderito ha previsto di pubblicare nella propria nella propria classroom
l’immagine di Falcone e di Borsellino sotto la quale ciascun studente ha potuto
scrivere una breve frase ricordo.
Ricerca di Gloria Santostefano, classe IIIN
(Per la rubrica "Una finestra sul mondo")
(Per la rubrica "Una finestra sul mondo")
La vita di Giovanni Falcone
Giovanni Falcone nacque a Palermo il
18 maggio del 1939 da una famiglia benestante. Arturo Falcone, il padre, era
direttore del laboratorio di igiene e profilassi del comune di Palermo; la madre era figlia di un noto ginecologo.
Aveva due sorelle maggiori: Anna e Maria. I Falcone dovettero abbandonare il
loro quartiere, la Kalsa, a causa dei bombardamenti della seconda guerra
mondiale, nel 1940, quindi sfollarono a Sferracavallo, un borgo vicino Isola
delle femmine, poi tornarono alla Kalsa nel 1943.
Il secondo nome di Giovanni era
Salvatore, in memoria di suo zio, che era tenente dei bersaglieri, morto durante la prima guerra mondiale. Il
terzo nome era Augusto, data la passione del padre per l’impero romano.
Giovanni frequentò le scuole elementari
al convitto nazionale, le medie alla scuola ‘’Giovanni Verga’’, le superiori al
liceo classico “Umberto I‘’ e si laureò in giurisprudenza .
Giovanni Falcone era un magistrato
impegnato contro la mafia.
Da magistrato fece arrestare molti
mafiosi insieme al suo collega Paolo Borsellino; per questo motivo, Salvatore Riina organizzò un attentato contro
di lui. Egli era chiamato il ‘’capo dei capi ‘’ e controllava i mafiosi di Palermo e
dintorni. Riina commissionò al suo
braccio destro, Giovanni Brusca, di porre della dinamite all’interno di un
vecchio cavalcavia nei pressi di Capaci. Inizialmente, i mafiosi fecero delle
prove con una lampadina attaccata a un detonatore e, passando con la macchina
in autostrada, verificavano che la lampadina si accendesse in tempo.
L’attentato venne eseguito il 23 maggio alle 17:57
mentre Falcone e la moglie stavano rientrando da Roma per andare a Favignana
per la mattanza dei tonni. In questa
strage ci furono 5 morti, tra i quali
Giovanni, e 23 feriti.
Dopo la sua morte fu evidente a tutti che “gli
uomini passano ma le idee restano”.
Ogni anno, per ricordarlo, un corteo
formato soprattutto da ragazzi, giunge fino all’albero che cresce sotto la sua
abitazione di via Notarbartolo.
Quest’anno, a causa delle restrizioni
per il Covid-19, il corteo non potrà aver luogo, quindi chi vorrà il 23 maggio
esporrà un lenzuolo bianco oppure la bandiera dell’Italia nel balcone della
propria abitazione.
Disegno e poesia di Emanuele Donzelli
Articolo di Emanuele Donzelli e Alessio Russo, classe IIM
(Per la rubrica "Una finestra sul mondo")
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