Quest’anno il XXVI anniversario
della strage di Capaci è stato dedicato agli eroi silenziosi, agli uomini della
Polizia di Stato - precisamente sette uomini e una donna - che hanno donato la
propria vita per proteggere quella altrui, quella dei giudici Giovanni Falcone
e Paolo Borsellino in prima linea nella lotta contro la mafia.
Erano ragazzi ed erano
consapevoli - ha detto il capo della Polizia Franco Gabrielli - di poter
diventare degli eroi, perché il loro lavoro era particolare: scortavano due
persone straordinarie che erano effettivamente nel mirino della criminalità
organizzata.
All’Aula Bunker il 23 maggio
erano, pertanto, presenti anche i familiari degli uomini della scorta: la
vedova di Antonio Montinaro; il figlio di Vito Schifani, il giovane tenente
Emanuele Schifani che - ha detto orgogliosamente il Comandante generale della
Guardia di Finanza, il generale Giorgio Toschi - ha voluto essere assegnato a
un reparto delicato che si occupa di antiterrorismo.
Noi della scuola Cesareo abbiamo
avuto la possibilità di partecipare alla manifestazione in un luogo simbolo
della lotta alla mafia, che è l’Aula Bunker dell’Ucciardone - “l’astronave
verde” così definita per il suo colore predominante e per la particolare forma
ottagonale - dove, tra il febbraio 1986 e il dicembre del 1987, si è celebrato
il maxiprocesso contro “Cosa nostra”, la mafia siciliana.
È stato chiamato
maxiprocesso in quanto sono state indagate più di 400 persone, per reati legati
alla criminalità organizzata che vanno dall’associazione a delinquere di stampo
mafioso, al traffico di stupefacenti e a decine di delitti. Il verdetto
complessivo ammonta a 19 ergastoli, tra cui Totò Riina e Bernardo Provenzano, per
un totale di 2665 anni di carcere. Il maxiprocesso è stato possibile grazie
alle rivelazioni di Tommaso Buscetta, detto il boss dei due mondi, che nel
1984, dopo l’estradizione dagli Stati Uniti, è il primo e più importante degli
ex mafiosi che verranno poi chiamati “collaboratori di giustizia” o “pentiti”.
Il maxiprocesso di Palermo è considerato la prima reazione importate dello
Stato, ed è in questa occasione che si afferma finalmente il reato di mafia: i
giudici Falcone e Borsellino iniziano la lotta alla mafia semplicemente
riconoscendone l’esistenza.
Il poter presenziare alla diretta
televisiva presso l’Aula Bunker, insieme a giovani giunti da ogni parte
d’Italia, ha sicuramente incrementato in noi la percezione del valore della
memoria. È stato prezioso ascoltare le testimonianze dirette di chi, a diverso
titolo, ha vissuto quegli eventi o ha preso parte ai processi e agli sviluppi
che ne sono susseguiti. È stato un momento di crescita nella cittadinanza
attiva e di riflessione sul fatto che “noi oggi siamo le gambe su cui camminano
le idee di Falcone e Borsellino” e, quindi, abbiamo un compito importante e
inderogabile.
Silvia Borruso
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